da Billiken n. 3 - Spazio Associazione
Atti
dell’Associazione: andando per cineforum, il cinema come strumento di
conoscenza e di ri-creazione
Di
Lucio Iacono
L’arte del Novecento si chiama
cinema. C’è poco da dire, sicuramente ne ha prodotte altre, a bizzeffe, sia di
nuove arti che rimodulazioni di antiche. Ma quella che davvero ha conquistato
il secolo è una sola: il cinema appunto.
Forse nel nuovo secolo che viviamo
ce ne saranno altre, magari il fumetto, datosiché il cinema oggi è senza dubbio
in crisi. Ma ogni crisi è premessa di una rigenerazione, di un proficuo cambiamento.
Tuttavia noi, che del Novecento portiamo una data come nome, non potevamo non
sfruttarlo. Ma l’abbiamo fatto a nostro modo, come sempre. L’abbiamo usato per
conoscere.
Lo strumento del cineforum,
strumento vecchio, direbbero alcuni, che ricorda fumosi ritrovi della sinistra sessantottina
o settantasettotta, anche se non esiste un simile aggettivo mi sa, è quello che
abbiamo recuperato per questo scopo. Ripescare dall’antico per rimodellare il
presente è il nostro metodo prediletto.
Del resto il cineforum è
un’occasione che in sé ha tutto: osservazione visiva e discussione dialettica,
divertimento e cultura unite in un procedere unificato, che parte fin dalla
scelta del film. O del percorso di film.
Anche se durante vari eventi abbiamo
visto film adatti a quelle occasioni, il nostro primo cineforum, svoltosi nel
passato inverno, si è chiamato, con un vezzo volutamente superbo, Cineforum generazionale. Aveva per
sottotitolo Storie di giovani, e
questo è l’elenco dei film:
I basilischi (1963) di Lina
Wertmuller
Porci con le ali
(1977)
di Paolo Pietrangeli
Ecce bombo (1978) di Nanni
Moretti
Radiofreccia (1998) di
Luciano Ligabue
La guerra degli
Antò (1999)
di Riccardo Milani
Tutto l’amore
che c’è (2000)
di Sergio Rubini
Fughe da fermo (2001) di
Edoardo Nesi
The Dreamers (2002) di
Bernardo Bertolucci
Fame chimica (2004) di
Bocola/Vari
Ma quando
arrivano le ragazze? (2005)
di Pupi Avati.
Sebbene quella generazionale è una
categoria che ha ispirato molti registi e produttori, questi 10 film sono tutti
di autori italiani, forse perché, in quanto organizzatore, li consideravo più
significativi, o magari erano gli unici che mi ricordassi. Si tratta di storie
di giovani nei loro rapporti con la società del tempo, nelle loro esperienze di
vita, nei loro pensieri e desideri, nel loro tormentato passaggio verso l’età
adulta. Che poi quando si raggiunge, veramente, l’età adulta? Questi film ci
hanno dimostrato che prima o poi si raggiunge, ma ci vuole un taglio netto con
chi e cosa si era stato prima, con l’essere, propriamente, “giovane”. Ma anche che
non si raggiunge mai. Che il legame con quell’età, con quella temperie, ci
accompagnerà sempre.
Comunque sia, più che i singoli
film, l’importante è il percorso di cui i suddetti hanno costituito le tappe:
il cinema per capire, per conoscere. Alla base del cineforum c’erano infatti
queste domande: chi sono i giovani? cosa vogliono? Inutile dire che in verità
erano: chi siamo noi? cosa vogliamo? Sì perché l’Associazione proprio da
giovani, nati negli anni 80 e 70, è stata costituita, e ai giovani primariamente
si rivolge. Perciò la finalità era introspettiva, quasi un’indagine, compiuta
attraverso il cinema, su noi stessi, sul nostro posto nel mondo, e sul posto
dei nostri sogni per il domani. Il giovane infatti per definizione è un essere
destinato a crescere, e poi a invecchiare. È tale solo in prospettiva,
esiste-per.
La cosa è divenuta vieppiù palese
all’ultimo film. Alla vista della fotografia astronomica della cometa che si
allontanava dalla vista della terra per non farvi più ritorno, si è capito che
i sogni sono proprio come quella lì. Vivono solo il tempo della giovinezza, anzi
la segnano in quanto tale. Ma noi come Associazione cerchiamo sempre di farli
vivere più a lungo, è un altro dei nostri scopi: ripescare dall’antico per
rimodellare il presente, l’abbiamo detto, ma in un’ipotesi di futuro.
Quest’anno sono due i cineforum
messi in cantiere. Il primo, iniziato a settembre, riguarda il cinema
buddhista, con sottotitolo pur’esso abbastanza superbo, cineforum sulla via del Buddha. Quattro film che narrano di storie
di monaci e di buddhismo:
L’Arpa Birmana
(1956) di Kon Ichikawa
Milarepa
(1974) di Liliana Cavani
Samsara (2001)
di Nalim Pam
Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera
(2003) di Kim Ki-duk.
Abbiamo voluto così proseguire e
concludere il trascorso nostro ciclo di lezioni di filosofia orientale, dedicato
appunto al buddhismo. Per vedere oltreché che per studiare e meditare. Il
prossimo, che inizierà questo stesso autunno, verterà sull’induismo.
E come a voler dare un giusto
contraltare religioso, il cineforum ambizioso che terrà l’Associazione impegnata
questo inverno sarà dedicato al cristianesimo. O meglio ad un cristianesimo
diverso. Il cinema delle croci infrante –
cineforum su un cristianesimo critico è il titolo dell’evento, cioè del
percorso. Anche stavolta per rimanere sul classico saranno 10 film:
La passione di
Giovanna d’Arco (1928)
di Carl Theodor Dreyer
Madre Giovanna
degli Angeli (1961)
di Jerzy Kawalerowicz
La via lattea (1968) di Luis
Buñuel
I diavoli (1970) di Ken
Russell
La messa è
finita (1985)
di Nanni Moretti
Manto nero (1991) di Bruce
Beresford
In memoria di me
(2007)
di Saverio Costanzo
Lourdes (2009) di
Jessica Hausner
Agora (2009) di
Alejandro Amenabar
Corpo celeste (2011) di Alice
Rohrwacher.
Qualcuno avrà già intuito che non
si tratta dei film storici, apologetici, tradizionali, chiamiamoli così, sul cristianesimo,
come La tunica o persino L’ultima tentazione di Cristo. No qui si
tratta di “croci infrante”, film che mettono in subbuglio la visione religiosa
catechistica. Sono storie contraddittorie, strane, laceranti a volte, tragiche,
pur se pregne di religiosità, ma umana, troppo umana. Storie che insomma
vogliono ri-leggere il cristianesimo. E noi vogliamo dar loro la possibilità di
farlo. Per capire soprattutto, perché, come ci insegnava già Eraclito, solo dal
conflitto esce il logos, la comprensione, la parola che diviene ragionamento,
discorso.
Abbiamo visto dunque come il cinema
è strumento di conoscenza, quando lo diviene servendosene in quanto strumento,
cioè mezzo per un fine, come abbiamo fatto noi. Ma tale funzione esso non la
potrebbe assurgere se non avesse a monte un’altra qualità, un altro dono
essenziale, che hanno tutte le arti, in primis credo la poesia, ma che esso
riesce a concretizzare con una forza e una capacità di rappresentazione che
resta ineguagliata: il dono di ri-creare la realtà.
Se ogni logos sorse da un conflitto,
questo conflitto è sempre tra il nulla e Dio. È Dio il primo creatore, stando
almeno ai nostri testi sacri. L’uomo di questa creazione ne è solo il
trasformatore. E il cinema è uno dei più grandiosi strumenti messi in mano
all’uomo per compiere questa ri-creazione. Il cinema mette in scena quello che gli
pare, il cristianesimo visto attraverso una lente deformante, che è poi il
nostro stesso occhio, la silente testimonianza non-testimonianza del Buddha, i
giovani e i loro mondi privilegiati. E riesce a fare ciò perché ricrea questi
significati, di certo preesistenti, ma in forma del tutto caotica. Come i poeti
danno i nomi alle cose, che prima nome non avevano, erano perse nel grande
tutto che assomigliava perciò moltissimo al grande nulla, il cinema le fa
girare, ce le mostra nel loro peculiare divenire.
Atto poietico, nel senso etimologico
greco del termini, che dà l’essere a,
è ciò che compie il cinema. Questa mirabile, magica macchina collettiva, che si
serve della più fredda tecnologia come della più calda emozione umana, quella
recitata, e perciò per certi versi più vera del vero. Come insegnava Carmelo
Bene, che proprio per rompere ogni barriera usò il cinema per distruggerne la
causa della finzione, egli macchina attoriale che in sé non esisteva, ma esisteva
per rappresentare, scomparendo nella maschera, facendosene tutt’uno, attore non
viene dal latino agire, ma da agere, spingere davanti a sé, far
avanzare, condurre. E’ ciò che
vediamo in sostanza l’unica cosa vera, quello che sta dietro, se non lo
vediamo, è come se non esistesse. E forse infatti nemmeno esiste.