lunedì 25 novembre 2013


da Billiken n. 3 - Spazio Associazione


Atti dell’Associazione: andando per cineforum, il cinema come strumento di conoscenza e di ri-creazione

Di Lucio Iacono
           
            L’arte del Novecento si chiama cinema. C’è poco da dire, sicuramente ne ha prodotte altre, a bizzeffe, sia di nuove arti che rimodulazioni di antiche. Ma quella che davvero ha conquistato il secolo è una sola: il cinema appunto.
            Forse nel nuovo secolo che viviamo ce ne saranno altre, magari il fumetto, datosiché il cinema oggi è senza dubbio in crisi. Ma ogni crisi è premessa di una rigenerazione, di un proficuo cambiamento. Tuttavia noi, che del Novecento portiamo una data come nome, non potevamo non sfruttarlo. Ma l’abbiamo fatto a nostro modo, come sempre. L’abbiamo usato per conoscere.
            Lo strumento del cineforum, strumento vecchio, direbbero alcuni, che ricorda fumosi ritrovi della sinistra sessantottina o settantasettotta, anche se non esiste un simile aggettivo mi sa, è quello che abbiamo recuperato per questo scopo. Ripescare dall’antico per rimodellare il presente è il nostro metodo prediletto.
            Del resto il cineforum è un’occasione che in sé ha tutto: osservazione visiva e discussione dialettica, divertimento e cultura unite in un procedere unificato, che parte fin dalla scelta del film. O del percorso di film.
            Anche se durante vari eventi abbiamo visto film adatti a quelle occasioni, il nostro primo cineforum, svoltosi nel passato inverno, si è chiamato, con un vezzo volutamente superbo, Cineforum generazionale. Aveva per sottotitolo Storie di giovani, e questo è l’elenco dei film:

I basilischi (1963) di Lina Wertmuller
Porci con le ali (1977) di Paolo Pietrangeli
Ecce bombo (1978) di Nanni Moretti
Radiofreccia (1998) di Luciano Ligabue
La guerra degli Antò (1999) di Riccardo Milani
Tutto l’amore che c’è (2000) di Sergio Rubini
Fughe da fermo (2001) di Edoardo Nesi
The Dreamers (2002) di Bernardo Bertolucci
Fame chimica (2004) di Bocola/Vari
Ma quando arrivano le ragazze? (2005) di Pupi Avati.

            Sebbene quella generazionale è una categoria che ha ispirato molti registi e produttori, questi 10 film sono tutti di autori italiani, forse perché, in quanto organizzatore, li consideravo più significativi, o magari erano gli unici che mi ricordassi. Si tratta di storie di giovani nei loro rapporti con la società del tempo, nelle loro esperienze di vita, nei loro pensieri e desideri, nel loro tormentato passaggio verso l’età adulta. Che poi quando si raggiunge, veramente, l’età adulta? Questi film ci hanno dimostrato che prima o poi si raggiunge, ma ci vuole un taglio netto con chi e cosa si era stato prima, con l’essere, propriamente, “giovane”. Ma anche che non si raggiunge mai. Che il legame con quell’età, con quella temperie, ci accompagnerà sempre.
            Comunque sia, più che i singoli film, l’importante è il percorso di cui i suddetti hanno costituito le tappe: il cinema per capire, per conoscere. Alla base del cineforum c’erano infatti queste domande: chi sono i giovani? cosa vogliono? Inutile dire che in verità erano: chi siamo noi? cosa vogliamo? Sì perché l’Associazione proprio da giovani, nati negli anni 80 e 70, è stata costituita, e ai giovani primariamente si rivolge. Perciò la finalità era introspettiva, quasi un’indagine, compiuta attraverso il cinema, su noi stessi, sul nostro posto nel mondo, e sul posto dei nostri sogni per il domani. Il giovane infatti per definizione è un essere destinato a crescere, e poi a invecchiare. È tale solo in prospettiva, esiste-per.
            La cosa è divenuta vieppiù palese all’ultimo film. Alla vista della fotografia astronomica della cometa che si allontanava dalla vista della terra per non farvi più ritorno, si è capito che i sogni sono proprio come quella lì. Vivono solo il tempo della giovinezza, anzi la segnano in quanto tale. Ma noi come Associazione cerchiamo sempre di farli vivere più a lungo, è un altro dei nostri scopi: ripescare dall’antico per rimodellare il presente, l’abbiamo detto, ma in un’ipotesi di futuro.
            Quest’anno sono due i cineforum messi in cantiere. Il primo, iniziato a settembre, riguarda il cinema buddhista, con sottotitolo pur’esso abbastanza superbo, cineforum sulla via del Buddha. Quattro film che narrano di storie di monaci e di buddhismo:

L’Arpa Birmana (1956) di Kon Ichikawa
Milarepa (1974) di Liliana Cavani
Samsara (2001) di Nalim Pam
Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera (2003) di Kim Ki-duk.

            Abbiamo voluto così proseguire e concludere il trascorso nostro ciclo di lezioni di filosofia orientale, dedicato appunto al buddhismo. Per vedere oltreché che per studiare e meditare. Il prossimo, che inizierà questo stesso autunno, verterà sull’induismo.
            E come a voler dare un giusto contraltare religioso, il cineforum ambizioso che terrà l’Associazione impegnata questo inverno sarà dedicato al cristianesimo. O meglio ad un cristianesimo diverso. Il cinema delle croci infrante – cineforum su un cristianesimo critico è il titolo dell’evento, cioè del percorso. Anche stavolta per rimanere sul classico saranno 10 film:

La passione di Giovanna d’Arco (1928) di Carl Theodor Dreyer
Madre Giovanna degli Angeli (1961) di Jerzy Kawalerowicz
La via lattea (1968) di Luis Buñuel
I diavoli (1970) di Ken Russell
La messa è finita (1985) di Nanni Moretti
Manto nero (1991) di Bruce Beresford
In memoria di me (2007) di Saverio Costanzo
Lourdes (2009) di Jessica Hausner
Agora (2009) di Alejandro Amenabar
Corpo celeste (2011) di Alice Rohrwacher.

                Qualcuno avrà già intuito che non si tratta dei film storici, apologetici, tradizionali, chiamiamoli così, sul cristianesimo, come La tunica o persino L’ultima tentazione di Cristo. No qui si tratta di “croci infrante”, film che mettono in subbuglio la visione religiosa catechistica. Sono storie contraddittorie, strane, laceranti a volte, tragiche, pur se pregne di religiosità, ma umana, troppo umana. Storie che insomma vogliono ri-leggere il cristianesimo. E noi vogliamo dar loro la possibilità di farlo. Per capire soprattutto, perché, come ci insegnava già Eraclito, solo dal conflitto esce il logos, la comprensione, la parola che diviene ragionamento, discorso.
            Abbiamo visto dunque come il cinema è strumento di conoscenza, quando lo diviene servendosene in quanto strumento, cioè mezzo per un fine, come abbiamo fatto noi. Ma tale funzione esso non la potrebbe assurgere se non avesse a monte un’altra qualità, un altro dono essenziale, che hanno tutte le arti, in primis credo la poesia, ma che esso riesce a concretizzare con una forza e una capacità di rappresentazione che resta ineguagliata: il dono di ri-creare la realtà.
            Se ogni logos sorse da un conflitto, questo conflitto è sempre tra il nulla e Dio. È Dio il primo creatore, stando almeno ai nostri testi sacri. L’uomo di questa creazione ne è solo il trasformatore. E il cinema è uno dei più grandiosi strumenti messi in mano all’uomo per compiere questa ri-creazione. Il cinema mette in scena quello che gli pare, il cristianesimo visto attraverso una lente deformante, che è poi il nostro stesso occhio, la silente testimonianza non-testimonianza del Buddha, i giovani e i loro mondi privilegiati. E riesce a fare ciò perché ricrea questi significati, di certo preesistenti, ma in forma del tutto caotica. Come i poeti danno i nomi alle cose, che prima nome non avevano, erano perse nel grande tutto che assomigliava perciò moltissimo al grande nulla, il cinema le fa girare, ce le mostra nel loro peculiare divenire.
            Atto poietico, nel senso etimologico greco del termini, che dà l’essere a, è ciò che compie il cinema. Questa mirabile, magica macchina collettiva, che si serve della più fredda tecnologia come della più calda emozione umana, quella recitata, e perciò per certi versi più vera del vero. Come insegnava Carmelo Bene, che proprio per rompere ogni barriera usò il cinema per distruggerne la causa della finzione, egli macchina attoriale che in sé non esisteva, ma esisteva per rappresentare, scomparendo nella maschera, facendosene tutt’uno, attore non viene dal latino agire, ma da agere, spingere davanti a sé, far avanzare, condurre. E’ ciò che vediamo in sostanza l’unica cosa vera, quello che sta dietro, se non lo vediamo, è come se non esistesse. E forse infatti nemmeno esiste.

giovedì 7 novembre 2013

Billiken il n. 3


E’ uscito il numero 3 di BILLIKEN, fanzine multitematica!

In questo numero:
Gaza è sola fumetto;
articolo: il corvo nelle religioni e mitologie;
l’autore di copertina: l’arte di Marco Donnarumma scultore e musicista;
rubriche: le vite parallele di Don Giovanni e Casanova, sul mondo dell’infanzia, recensioni;
un racconto illustrato di Flavio Berti;
la poesia di Daniel Falco;
eppoi filosofia, cinema, musica e altro ancora.

Organo ufficiale dell’Associazione 20 luglio.

Richiedi la tua copia a associazione20luglio@gmail.com.

Si cercano collaboratori e sponsor.

sotto copertina e quarta di copertina


domenica 30 giugno 2013

Billiken il n. 2

è uscito il numero 2 di BILLIKEN, fanzine multitematica!

In questo numero:

Odisseo - Lidia fumetto mitologico;
articolo: la filosofia come autoanalisi;
rubriche: pittori e poeti locali, l’altro Kipling;
narrativa metropolitana;
e poi poesia, commenti politici, religiosità, musica metal e altro ancora.

Organo ufficiale dell’Associazione 20 luglio.

Richiedi la tua copia a associazione20luglio@gmail.com.

Si cercano collaboratori e sponsor 


è inoltre sempre disponibile il n. 1 in cui trovate:


Fallen Angels fumetto underground;
rubriche: i supereroi di Cinecittà, il mistero di Akakor città sotterranea, recensione al film L’Intervallo, Zagor;
acconto pulp illustrato;
e poi poesia, commenti politici, musica metal e altro ancora.

sotto copertina e quarta di copertina del n. 2


giovedì 27 giugno 2013

Atti dell’Associazione: un lontano scrutare, un commento al primo ciclo di lezioni di filosofia orientale, dedicato al buddhismo.



da Billiken n. 2:

Di Lucio Iacono

            Dopo gli incontri letterari, ecco il nostro secondo grande progetto continuativo di ricerca. Fortemente volute da me, che ho svolto per diversi anni yoga e che ho sempre cercato di unire alla mia laurea in filosofia anche lo studio delle conoscenze orientali, e dal socio Antonio Gaeta, ramana, cioè sacerdote, indù, le lezioni di filosofia orientale sono iniziate il 27 settembre, con cadenza settimanale ogni giovedì.
            Io e il ramana volevamo cercare di trasmettere agli altri ciò che per me è un amore filosofico e una scuola di vita e di pensiero, e che per lui è un vero sentire religioso. Trasmetterlo ai nostri soci e amici prima di tutto, ma anche a tutti coloro che si sarebbero voluto accostare all’Associazione. Ci dividemmo i compiti: io avrei pensato alla parte filosofica e lui al momento di religiosità conclusivo.
            Attenzione a intendere la religione qui citata in senso occidentale, cioè come un insieme di dogmi, dottrine e atti liturgici conseguenti. Non esiste dottrina in oriente che sia sistematica e data una volta per sempre, ma solo esperienza in continuo movimento. In oriente si è tutti parimenti religiosi e al contempo si è tutti interpreti in modo diverso della religione, giacché essa non è altro che una pratica, verso noi stessi, verso il prossimo, verso Dio stesso o verso il vuoto, come nel buddhismo.
            Abbiamo deciso infatti di iniziare questo corso proprio con la filosofia più dirompente, più alternativa, più radicale del mondo orientale: la testimonianza non-testimonianza del Buddha. Questa imperniava la prima parte della lezione, specificatamente dedicata allo studio e alla spiegazione, con l’ausilio di saggi del nostro tempo. Ho scelto all’uopo due testi di Osho:  Buddha la vita e gli insegnamenti, Macro Edizioni; La mente che mente - commenti al Dhammapada di Gautama il Buddha, Feltrinelli. Seguiva quindi una meditazione, il dono sommo della civiltà orientale, a tutte le sue filosofie comune, guidata da me, ove ho cercato di sperimentare ogni volta un modo diverso di meditare. Poi veniva la lettura di un antico testo orientale, per andare alle origini, ai primordi della loro cultura, che nel caso è stato Trovare il centro, un testo dello shivaismo, forse la via più antica, la culla del pensiero orientale, contenuto in Mumon, La porta senza porta, Adelphi. E infine il breve momento di religiosità condotto dal ramana. Prima di ogni lezione avevamo preso l’abitudine, per prepararci a varcare ciò che stavamo per varcare, di leggere qualche canto di Milarepa, il più grande maestro del buddhismo tibetano, da I centomila canti di Milarepa, Adelphi
            Come sempre è valso il modus operandi tipico dell’Associazione, cioè di condividere e discutere insieme. Seduti per terra, senza scarpe, su stuoie e tappeti, a modo dell’ashram, luogo, “protezione” dal significato sanscrito, yogico, giacché la nostra modesta sede per quel paio di orette diventava davvero un ashram, i convenuti erano insegnanti al pari di noi due, portavano i loro contributi, ciò che lo studio gli ispirava in rapporto alla loro stessa vita e ansia di ricerca, e insieme si cercava di capire. Per la grande differenza, in forma e sostanza, che rappresenta questo insieme di filosofie agli occhi del paradigma occidentale, e più di tutte la via senza via, porta senza porta del buddhismo, è stato un vero lontano scrutare. Ma, pur con tutte le difficoltà, credo che ci siamo saputi portare, arrivando anche a vedere, in rare, illuminate volte, che il cuore di tutte le religioni alla fine è il medesimo.
            E soprattutto la meditazione, che vale più di mille teorie. Nell’arco dei dieci giovedì abbiamo meditato, seduti in posizione yogica come prescritto, sul vuoto, sul respiro, o meglio sull’istante di iato tra un atto respiratorio e l’altro, come insegnava Trovare il centro. Abbiamo meditato recitando un mantra buddhista, percorrendo, con la vista esteriore e interiore, lo sri yantra (che vedete a fianco), il più potente e venerato dei yantra induisti, figure geometriche rappresentazioni della divinità e divinità loro stesse. Eppoi sulla negazione operata dall’insegnamento del Buddha, la via negativa. E la volta dopo una più leggera, accompagnata dalla musica, come predicava Osho. Seguita il giovedì successivo da una al suono dei flauti zen. E poi su un altro mantra, e sulle parole stesse del Dhammapada, che si dice siano dello stesso Gautama il Buddha. Infine recitando il daimoku, che dal giapponese vale a dire “sia lodata la legge eterna del sutra del loto”, a compimento di questo primo ciclo di lezioni.
            Purtroppo durante questo corso il ramana e socio Gaeta, che con me l’ha voluto e preparato, ha deciso di venire meno a seguito di alcune polemiche e problematiche di coscienza. La sua decisione mi ha molto addolorato ma le lezioni, pur senza il momento di religiosità, sono proseguite. Io però mi auguro sempre che come il cerchio, che torna e ritorna sempre su di sé, figura di cui l’oriente è intessuto, si possa risanare un dì questa frattura, in questa o altre vite.
            Chiuso il primo ciclo di lezioni, il prossimo verterà sull’induismo e inizierà probabilmente dopo la prossima estate. Chi è interessato ci contatti al nostro indirizzo email. A voi om om shanti.



Lo Sri Yantra, posto sulla locandina delle lezioni.